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Andrea Di Biagio
L'ULTIMA CORSA
L'ippica italiana è stata, per decenni, un settore di grande richiamo, capace di generare guadagni e di appassionare milioni di persone. Gli ippodromi erano luoghi vivaci, dove le corse di cavalli non solo rappresentavano un evento sportivo, ma un'occasione di incontro e di divertimento per tantissimi appassionati. Le scommesse, i tifosi e l'emozione che pervadeva l'aria ad ogni partenza erano il cuore pulsante di una tradizione che si tramandava di generazione in generazione.
Tuttavia, oggi, la realtà è ben diversa. L'ippica italiana è entrata in una fase di declino drammatico, segnata dall'abbandono tanto delle istituzioni quanto del pubblico. La forte diminuzione dei finanziamenti pubblici ha privato il settore delle risorse necessarie per sopravvivere, passando da 140 milioni di euro nel 2012 a soli 40 milioni attuali. Una riduzione che ha avuto pesanti conseguenze sul funzionamento degli ippodromi, che sono ormai deserti e sempre più lontani dalla loro antica gloria.
Le nuove generazioni non sembrano più interessate a seguire le corse dei cavalli. L'entusiasmo che un tempo animava le tribune sembra essersi dissolto, lasciando il posto a un disinteresse che cresce ogni anno. Gli appassionati storici stanno invecchiando, mentre i giovani si rivolgono altrove, attratti da altre forme di intrattenimento più moderne e rapide.
Ma la crisi dell'ippica non riguarda solo il pubblico. È un colpo devastante per tutti coloro che lavorano nel settore. Fantini, allenatori, proprietari di cavalli, veterinari, e numerosi altri professionisti rischiano di perdere il proprio impiego. Un'intera filiera che si erigeva su passione e lavoro sta lentamente collassando. I cavalli, che erano protagonisti indiscussi di questo mondo, ora si trovano ad affrontare un futuro incerto, abbandonati a se stessi senza la cura e l'attenzione che meriterebbero.
In questo contesto, l'ippica italiana sta vivendo una delle sue stagioni più buie, e la triste sorte di molti dei suoi protagonisti sembra ormai inevitabile. Quello che una volta era un simbolo di passione, cultura e tradizione è oggi il riflesso di un settore dimenticato, privato di risorse, di pubblico e, soprattutto, di speranza per un futuro migliore